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La prima volta che l’ho sentita mi ha fatto davvero una brutta impressione, così come il significato che mi è stato spiegato. Però i corsi con questo titolo si moltiplicano, quindi la curiosità di capirci di più e’ rimasta. Poi, del tutto casualmente, come spesso accade, nella casa al mare di un’amica ho trovato l’ultimo libro di Beppe Severgnini, che vi ha dedicato un capitolo. Sarà che lui mi è simpatico e lo trovo intelligente, colto ed in grado di dare sempre un punto di vista interessante, comunque sia, la sua spiegazione mi ha convinta.
Ho scoperto così che questo termine non è stato inventato da poco (cosa che me lo rendeva antipatico) bensì è usato in molti ambiti, e deve la sua origine al latino “resiliens” (saltare indietro, rimbalzare).
Nella tecnologia la resilienza indica la capacità di resistere alla rottura (provocata da prova d’urto) ed il suo inverso viene chiamato “indice di fragilità”. Si indica anche in questo modo la capacità dei tessuti di riprendere la loro forma iniziale, dopo essere stati deformati. Lo stesso vocabolo viene usato in informatica, biologia, geriatria, odontoiatria, psicologia…..

Ecco perché viene citato così spesso, ultimamente! Sta ad indicare la capacità (in relazione agli esseri umani) di attraversare le avversità, di assorbire i colpi che la vita ci somministra, di superare le prove difficili ed andare oltre….
A quanto pare, si tratta dunque di una qualità che permette di tenere duro, proprio quando le cose diventano toste e gravose, quando si affrontano le prove più ardue, evitando di andare in mille pezzi ma, in realtà, rinforzandosi e accrescendo la stima di se’ e nelle proprie forze.

I miei genitori hanno vissuto la seconda guerra mondiale da bambini, e la loro vita ne è stata sicuramente condizionata. Hanno dato la precedenza assoluta, da quando “li conosco”, cioè da quando hanno messo su famiglia, alle cose che, secondo loro, avevano valore e durata nel tempo, preoccupandosi, fin da giovani, della propria vecchiaia. Questo ha voluto dire rinunciare alla maggior parte delle cose che, ora, sembrano scontate e dovute, ad esempio vacanze estive, viaggi, ristoranti e pizzerie, vestiti alla moda, svaghi e divertimenti di qualsiasi tipo. Tutto questo continuando a lavorare duramente e, nel caso di mio padre, emigrato dal Sud, portare avanti per molti anni un secondo lavoro serale.
Non è stato facile, da bambini e ragazzi, condividere la loro vita di sacrificio, eppure credo che, in tutti quegli anni, la nostra resilienza si sia allenata a dovere.

C’è una cosa che scrive Beppe Severgnini sulla quale non sono d’accordo, quando condivide la constatazione di Gregg Easterbrook che le condizioni di vita ed i beni materiali non danno la felicità, bensì portano l’infelicita’ quando li si perde. “La macchina della società occidentale non è fornita di marcia indietro.” Mi spiego meglio: condivido il fatto che i beni materiali non diano la felicità, ma non sono d’accordo sul fatto che, perdendoli, si diventa, automaticamente, infelici. Certo, non parlo di perdere la casa e finire sotto i ponti, parlo di ridurre le proprie spese e rinunciare ad andare a mangiare fuori spesso, o a comprarsi scarpe, vestiti, borse e cappotti nuovi.
Conosco un sacco di persone che lo stanno facendo, anzi, hanno anche comprato macchine di cilindrata inferiore, hanno messo in vendita la seconda casa, spendono in modo oculato e mirato, dando la precedenza agli studi dei figli, alle cose indispensabili e di valore.
Ho delle amiche carissime con le quali condivido la gioia di un cinema di qualità e di un gelato la domenica pomeriggio, e siamo felici di queste possibilità preziose e speciali, che ci costano poco, rientrano benissimo nel nostro badget e ci gustiamo con gratitudine. E molte di noi erano destinate ad una vita ben più lussuosa, ma vi hanno rinunciato volentieri.

Ogni generazione e’ cresciuta con diverse abitudini, la mia, sicuramente ancora influenzata dai sacrifici dei genitori nel dopo guerra, non sta facendo una fatica tremenda nel tornare a gustare le cose che hanno sempre contraddistinto la nostra gioventù, a meno che non parliamo di qualcuno che teme il giudizio altrui, nel qual caso e’ un altro paio di maniche (e peggio per lui!).
Frequento poco gli attuali trenta-quarantenni, ma mi pare che sappiano concedersi quello che vogliono senza farsi troppe “menate” su quello a cui devono rinunciare.
Avevo qualche timore per i giovani, fino a quando mio figlio (che vedevo con orrore fare “shopping selvaggio” il sabato pomeriggio per sfoggiare poi il sabato sera abbigliamento firmato) non mi ha sorpresa un anno fa dedicandosi all’equitazione, iniziando all’improvviso a passare i fine settimana al maneggio a strigliare il cavallo, le serate a fare grigliate e feste in fattoria, rientrando a casa con un sano odore di letame spalmato addosso.

Sono del parere che chi si assume le proprie responsabilità nella vita sviluppa una buona resilienza, mentre chi si abitua a dare la colpa agli altri per qualsiasi cosa accumula dosi di ansia, tensione e stress in quantità esagerata, senza, peraltro, potersene disfare.
Stiamo passando tutti delle dure prove, spesso tra le mura familiari, e non è detto che sopportare a lungo sia davvero una dote. Molto spesso la cosa più difficile e’ farsi rispettare, e, per impararlo, bisogna tirare fuori tutta la grinta e la personalità che non si sapeva neppure di avere.

Non credo ci sia una ricetta valida per tutti, poiché ogni storia ed esperienza è completamente diversa ma, quando ho dovuto cambiare strada, e’ stato perché non potevo più sopportare oltre delle situazioni logore. Quindi, a volte, mollare richiede una forza molto più grande che non rimanere e sopportare.
La fragilità, al contrario, spesso maschera bene il voler rimanere nella propria zona di comfort, o non essere in grado di mettersi contro ciò che genitori (anche di quaranta/cinquantenni) e sfera sociale approvano. Lo scivolare nella depressione o trovare surrogati (dipendenze, alcool, fumo, gioco, droghe, farmaci…) sono una soluzione molto più semplice, a cui alcuni non vogliono rinunciare, dimostrando un’ostinazione degna della miglior resilienza.

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